Nel panorama aziendale attuale caratterizzato da una crescente flessibilità lavorativa, costruire la giusta corporate culture potrebbe sembrare impegnativo, se non impossibile. Si tratta principalmente di sfide che ruotano attorno alla gestione delle relazioni umane: supervisionare i collaboratori, supportare le loro aspettative mantenendo alta la motivazione, ma anche risolverne attriti e paure. Tutti fattori, questi, che incidono direttamente sulle prestazioni e il benessere complessivo del team e, di conseguenza, sull’efficacia delle organizzazioni. Proprio per questo, “la cultura delle aziende più innovative è quella basata sul teaming”, osserva Amy C. Edmondson, docente di Leadership e Management alla Harvard Business School, considerata una delle più rilevanti business thinker sui temi del management, che di recente è stata nominata al primo posto della classifica Thinkers50.
Teaming vs team: un nuovo modo di fare squadra
Creare un team ex novo, in cui persone che non hanno mai lavorato insieme uniscono le loro diverse competenze per giungere a un obiettivo comune: è il teaming secondo la definizione della docente e ed esperta internazionale sui temi di cultura aziendale. Si tratta di un concetto più dinamico e nettamente differente da quello dei team stabili, che sono circoscritti e formati sempre dagli stessi membri. Infatti, riguarda un lavoro di squadra flessibile, sempre più diffuso in vari settori. Caratterizzato da complesse interdipendenze, il teaming può richiedere anche una gestione globale, soprattutto quando si collabora con persone che superano confini di ogni tipo: dalla distanza fisica, alla differenza culturale vera e propria.
Team flessibili: competenze diverse, in momenti diversi
Per capire meglio cosa si intende con teaming, basta pensare a ciò che serve per creare un film d’animazione. Una delle tante ricerche condotte da Edmondson – che da anni studia le dinamiche interne ai team aziendali – riguarda proprio l’analisi di oltre 900 scienziati, artisti, narratori, informatici all’opera all’interno di team in continua trasformazione dedicati alla creazione di “prodotti incredibili”. Servono competenze diverse in momenti diversi, non esistono ruoli fissi, così come non ci sono risultati predefiniti. Si sperimenta, si creano cose mai viste prima, che non potrebbero essere realizzate se il team fosse un gruppo statico e stabile. “Non è facile”, ammette l’esperta, “ma è il modo in cui, sempre più spesso, molti di noi lavorano”, per questo è importante capire come fare teaming.
A volte, però, la collaborazione fra diversi settori entra in conflitto rendendo difficile il raggiungimento dell’obiettivo. Ciò accade perché ogni ambito ha tempistiche, gergo e modi di pensare diversi: non sempre le operazioni da effettuare sono viste dalla la stessa prospettiva generando, così, uno “scontro tra culture professionali”. E le differenze, va ricordato, possono persino essere amplificate dallo stress della situazione e dal timore di commettere errori.
Come superare lo scontro fra culture professionali?
Lo scontro tra culture professionali si supera grazie a una leadership, precisa la docente e ricercatrice, in grado di adottare un mindset di umiltà situazionale, ovvero un approccio – come abbiamo visto in questo articolo – che implica anche saper riconoscere i propri limiti e gli errori di valutazione, senza che questo scalfisca in alcun modo l’autorevolezza della figura apicale.
Questa mentalità, combinata alla curiosità di conoscere le idee altrui, crea un senso di sicurezza psicologica che permette di correre dei rischi, di proporre idee o di chiedere aiuto. Azioni non semplici, perché il timore di proporre un’idea che può sembrare “stupida” spinge molti al silenzio, paura che invece la sicurezza psicologica attenua, lasciando spazio a una più libera espressione.
Il teaming facilita la fiducia
Ecco perché è importante che manager e leader promuovano un ambiente dove le persone possano sperimentare senza timori. Ciò è particolarmente essenziale nei team interfunzionali, i cui membri potrebbero non avere una lunga storia di collaborazione e in cui potrebbero ancora non essersi sviluppate a sufficienza le basi per la fiducia reciproca.
“I leader di oggi devono costruire una cultura in cui il teaming sia un elemento naturale e fondamentale, che tutti si aspettano, alimentando curiosità, empatia e passione”.
Porre domande autentiche, ascoltare attentamente le risposte, esprimere entusiasmo per il raggiungimento degli obiettivi e dimostrare di essere in sintonia con le diverse prospettive, indipendentemente dalla posizione, consente di costruire un team affiatato e performante.
Non rivali, ma collaboratori
Un ulteriore ostacolo che frena la costruzione di un team è la cultura dell’esclusione, quella per cui la realizzazione di un individuo è legata al fallimento di un altro. Si tratta di una prospettiva che rende complesso il processo di team building, poiché stimola un atteggiamento in cui gli altri membri della squadra sono percepiti come rivali anziché come collaboratori. Ciò tende ad accadere in particolare quando qualcuno entra a far parte di un nuovo team, con il quale non ha mai condiviso alcuna esperienza lavorativa. È naturale essere guidati dall’istinto di autoprotezione in queste circostanze, aggiunge la ricercatrice, ma concentrarsi troppo su di sé può compromettere l’attenzione verso gli altri, minare l’entusiasmo per gli obiettivi comuni e limitare la capacità di apprezzare prospettive diverse. Lavorando da soli possiamo ottenere risultati, ma quando lavoriamo in team possiamo costruire “il futuro che sappiamo di poter creare, ma che non possiamo creare da soli”.
Corporate culture e team building al Leadership Forum
Costruire una cultura organizzativa che favorisca crescita, innovazione e attrazione dei talenti: ne parliamo al Leadership Forum insieme a Amy C. Edmondson, al primo posto della Thinkers50, pioniera nel campo della sicurezza psicologica e docente di Leadership e Management alla Harvard Business School, che da anni studia le dinamiche alla base di una cultura aziendale efficace.
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