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Perché nessuno ruberà la tua idea, secondo il cofondatore di Netflix, Marc Randolph

Randolph

Primo, non è originale. Secondo, non funzionerà mai.

Eppure, sempre secondo le parole del cofondatore e primo CEO di Netflix, nessuna di queste due cose, l’originalità dell’idea e la sua prospettiva di funzionamento, in fondo, conta più di tanto quando si tratta di lanciare un nuovo business. “Nei 20 anni che ho trascorso come consulente per numerosissimi imprenditori “alle prime armi,” racconta “ho capito che la prima e principale ragione per cui molti falliscono è che, semplicemente, non cominciano mai.

Sono infinite le scuse ascoltate nella sua lunga carriera in Silicon Valley, racconta l’imprenditore e angel investor che, insieme a Reed Hastings, ha fondato e condotto l’azienda che oggi ha rivoluzionato il mondo dello streaming su scala planetaria. Da “dovrei lasciare il mio impiego principale”, a “dovrei imparare a programmare in codice prima”, passando per i sempreverdi “mi servirebbe un socio” e “devo mettere del denaro da parte”.

La vera ragione che frena founder, imprenditori e aziende dal tentare nuovi approcci, ingressi in nuovi mercati e modelli di business che potrebbero rivoluzionare interi settori come ha fatto Netflix è, spiega il suo cofondatore, in primis la paura. Non quella del fallimento, che sarebbe tutto sommato comprensibile, ma quella che qualcuno possa rubare loro l’idea.

Le idee? Non contano (poi così tanto)

Un’affermazione forte e quasi paradossale, quella di Randolph, che tuttavia precisa: “Credere che qualcuno ci ruberà l’idea è una fallacia del pensiero, e anche piuttosto pericolosa.”

Che cosa intende dire Randolph quando dice che le idee non contano? Non tutte le idee sono buone, certo, ma neppure tutte infondate. Ma quello che conta davvero è che ciascuna idea, anche quella che possiamo considerare migliore, più brillante e piena di prospettive non è che un punto di partenza, e come tale deve essere affrontata.

Il processo di verifica delle idee è tutto

“Non conta l’idea, ma quello che viene subito dopo.” Si tratta, per Randolph, del processo di verifica e validazione delle idee. È proprio quella fase di test, in realtà, quel momento di apprendimento su una determinata idea di business ad essere di valore, più che l’idea stessa. Anche quando quest’ultima non funziona, questo processo consente di scoprire una enorme quantità di dati sui clienti, sulle potenzialità e i difetti del prodotto stesso, sul perché qualcosa è andato storto. “Sono proprio i tentativi falliti che nutrono gli sforzi nella ricerca di un’idea che, prima o poi, funzionerà”, racconta. È una fase ineludibile, quando l’obiettivo è quello di avviare un’impresa con successo. Ma certo, è un processo che può protrarsi per mesi e attraversare centinaia di test fallimentari: ciascuno di questi rappresenta un tassello indispensabile di apprendimento.

“Mi scuso con Thomas Edison, ma credo che il genio sia 1% ispirazione e 99% ripetizione.”
– Marc Randolph

Il valore della persistenza e della ripetizione

Essere protettivi (o persino gelosi) nei confronti della propria idea di business, sostiene in sostanza Randolph, significa cercare di proteggere l’asset meno rilevante e impedisce di avviare quel persistente processo di test e ripetizione che, invece, è il vero strumento di realizzazione. Testare, spiega Randolph che nella sua carriera ha supportato lo sviluppo di tantissime aziende della Silicon Valley, “non è un processo che riguarda solo le start-up. Tutte le imprese di successo che conosco hanno iniziato facendo qualcosa che assomigliava solo vagamente a ciò che, alla fine, le hanno portare ad affermarsi realmente sul mercato.

E, in effetti, è anche quello che è successo con Netflix. Nato come un servizio di “videonoleggio via mail”, con tanto di tradizionali scadenze e penali per le consegne in ritardo, solo in seguito Netflix si è trasformata in un servizio in abbonamento e, dopo 9 anni, è divenuta il colosso dell’home-entertainment in streaming che conosciamo oggi.

Slack, allo stesso modo, partì nelle vesti di una gaming company. Ma gli strumenti che aveva messo a punto per gestire i processi di sviluppo interni, quattro anni dopo, si sono evoluti nel servizio di messaggistica per la collaborazione aziendale (tra i più usati in assoluto nel mondo) che è oggi.

I primi passi, Twitter li mosse sotto il nome di Odeo, una piattaforma di podcast. E ancora Airbnb fu concepita in origine come una piattaforma per i partecipanti di conferenze e convegni. Paypal nacque come una soluzione pratica per trasferire denaro tra privati.

Eppure nessuna di queste aziende, sottolinea ancora Randolph, sarebbe arrivata dov’è ora senza talvolta “rovesciare tutto” e trasformarsi, fino ad approdare ad una nuova idea, quella effettivamente funzionante. E nessuna ci sarebbe riuscita se l’intenzione di preservare l’idea originaria avesse vinto sulla sperimentazione e sulla persistenza dei test.

La fase di sperimentazione è solo l’inizio

La sperimentazione è solo l’inizio” continua Randolph.  Il grande valore che proviene dal condividere le idee è che sperimentandole ci permettono di imparare sia dalle nostre stesse azioni sia dalle reazioni degli altri: clienti, mercati, stakeholder. Tutto il tempo dedicato alla preparazione di un prodotto perfetto da presentare al cliente è una perdita di tempo, continua l’imprenditore. Perché è impossibile sapere con anticipo quale sarà il prodotto perfetto per il cliente.

Validation hacking: il prodotto minimo… non funzionante

Ma come si traduce, nella pratica, questo processo di verifica delle idee e di testing?
Randolph lo chiama validation hacking, ovvero verificare l’idea senza realizzarla completamente. Si tratta di partire con un obiettivo che viene ancora prima del cosiddetto minimum viable product, il minimo prodotto funzionante. Occorre puntare al minimal unviable product: una versione del prodotto o servizio che non sta ancora in piedi da sola, che non è replicabile e, tantomeno, ancora scalabile. Ma è una versione di rapidissima realizzazione, che richiede un investimento minimo a livello di risorse economiche e di tempo. E che non funzionerà, ma sarà il tassello indispensabile del trial, la fonte delle informazioni più essenziali per passare allo step successivo della fase di testing. E poi a quello successivo e a quello successivo ancora: perché non c’è business plan in grado di sopravvivere alla collisione con un cliente reale.”

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