È noto che le economie sono interconnesse in maniera talmente indissolubile da essere sempre più dipendenti l’una dalle altre. La globalizzazione dei mercati, di cui beneficiamo, ha reso il sistema molto più efficiente ma, allo stesso tempo, ha contribuito a renderlo anche molto più fragile.
Gli scambi tra una parte e l’altra del mondo avvengono con estrema agilità, esponendo però maggiormente il sistema anche ad eventi dannosi che, indipendentemente dal luogo da cui scaturiscono, si diffondono velocemente. Spesso si sottovaluta la minaccia di un potenziale “contagio” tra le economie, nell’errata convinzione che il sistema sia invulnerabile e inattaccabile. Invece, l’interconnessione creata dalla rete fa sì che il sistema possa crollare come un castello di carta. Qualcosa di simile accade anche all’interno delle aziende. La presunta invulnerabilità del sistema lo espone a eventi isolati con un potenziale negativo particolarmente devastante.
Lo vediamo in maniera molto chiara in un periodo particolarmente drammatico specialmente per l’Europa, colpita al suo interno – come non accadeva da diversi decenni – da un conflitto ampio per durata e per consistenza delle conseguenze umanitarie ed economiche, come quello in Ucraina.
Che cos’è un cigno nero
A scatenare crolli, disruption e molti degli sconvolgimenti a cui abbiamo assistito negli ultimi tre anni, possono intervenire appunto quegli eventi epocali che abbiamo imparato a definire, in maniera talvolta imprecisa, “cigni neri”. Prendiamo il Lunedì Nero, quel 19 ottobre 1987 in cui Wall Street registrò la più grande perdita della storia, con il Dow Jones sprofondato del 22,6% in una sola seduta, oppure l’attacco alle Torri Gemelle del 2001 o ancora la crisi finanziaria del 2008.
Con questa espressione, il filosofo e matematico Nassim Nicholas Taleb, autore appunto de Il Cigno nero, annoverato tra i libri che hanno cambiato la storia, si riferisce a quegli eventi, di enorme portata, le cui principali caratteristiche sono l’effettiva imprevedibilità e la radicalità delle conseguenze. Eventi, insomma, che a livello collettivo sono ben oltre l’ordinario, che non rientrano nel campo delle normali aspettative, e che rappresentano dei turning point storici, a livello globale. Eventi che escludiamo normalmente dal novero delle possibilità e dal panorama delle opzioni prevedibili. Proprio come il cigno nero, di cui fino al 1697 il mondo occidentale non conosceva l’esistenza.
Il concetto è stato sviluppato all’interno di una più ampia teoria, attraverso cui il filosofo e matematico intendeva studiare non solo la sproporzione tra l’imprevedibilità e la portata di questi eventi, ma anche la complessità nel calcolare scientificamente la possibilità che questi eventi si verifichino e i meccanismi psicologici che, sia a livello individuale che collettivo, rendono difficile cogliere quanto l’incertezza e i cigni neri impattino realmente.
Eppure non tutti gli eventi epocali sono cigni neri.
Non tutte le crisi sono cigni neri
Quando pensiamo ai “cigni neri” ancora più attuali, difficile non creare un immediato collegamento con l’evento che ha più scosso e stravolto i nostri tempi: la pandemia da Covid-19. Eppure, paradossalmente, non sarebbe questo un vero e proprio cigno nero. Lo ha spiegato proprio Nassim Nicholas Taleb in una recente intervista su La Repubblica. A mancare, in questo inedito fenomeno sarebbe proprio l’imprevedibilità: la comunità scientifica, ricorda il filosofo, parlava da anni della possibilità di un’epidemia globale, già dai tempi della diffusione del virus Ebola, sviluppatosi però in un luogo meno interconnesso rispetto alla Cina.
La fragilità dei sistemi è il vero pericolo
A mancare, ancora, sarebbe l’imprevedibilità dell’impatto della pandemia sui mercati: “era nell’ordine delle cose una correzione vistosa”, spiega Taleb, “perché i prezzi erano troppo gonfiati, sia in Usa che in Europa. […] Di momenti del genere ce ne sono stati tanti, anche senza epidemie”. Il vero pericolo, sembra suggerire il matematico e filosofo, è dunque la fragilità vera e propria dei sistemi, nei confronti della quale, però, la società, le imprese, le comunità possono imparare a “difendersi”.
Difendersi dalla crisi con l’antifragilità
Se l’imprevedibilità, ad un’analisi più approfondita, non è l’unico vero agente scatenante, è più efficace ed opportuno convogliare le energie nella costruzione di sistemi adatti a reggere lo shock, a sopportare meglio la crisi che verrà, a supportare tutti gli sviluppi che da questa, invece, possono nascere.
È questo che si chiede oggi alle figure che devono incarnare un nuovo stile di leadership. Una leadership antifragile.
“L’antifragilità va oltre il concetto di ‘resilienza elastica’ e di robustezza.
Una cosa resiliente resiste agli shock, ma rimane la stessa di prima:
l’antifragile dà luogo a una cosa migliore.”
Le caratteristiche di una leadership antifragile
1. Leadership diffusa. Il leader antifragile non ha alcun interesse a difendere una posizione di potere centralizzata. Al contrario, distribuisce le responsabilità verso il basso in modo di creare tante piccole unità funzionali che lavorano in maniera coordinata ma indipendente. Tali unità possono mettere in atto processi decisionali rapidi in grado di arginare errori o malfunzionamenti.
2. Empowerment. Il leader antifragile padroneggia l’arte dell’empowerment e sa riconoscere quando fare un passo indietro. Permette ai manager dei livelli inferiori di esprimere al massimo la loro professionalità e competenza cosicché possano effettuare modifiche e manovre strategiche. Questo significa anche che devono avere la sicurezza psicologica che permette loro di testare serenamente soluzioni che non funzionano.
3. Convinzione emotiva. Il leader antifragile guida con la pancia e non solo con la testa. Il video in cui Steve Jobs lancia l’iPhone (“Oggi Apple sta per reinventare il telefono”) o quello di Steve Ballmer che grida “Amo questa azienda!” ad uno stadio pieno di dipendenti Microsoft, sono passati alla storia. C’è un livello di passione che non può essere simulato e quando viene percepito diventa un collante per i membri del gruppo. Un messaggio che ispira a volte funziona di più di un report di dati ben fatto e genera una forza in grado di resistere agli urti.
4. Visione aumentata. Si dice che Steve Jobs lavorasse in un “campo di distorsione della realtà” che gli permetteva di vedere progetti innovativi. A Elon Musk viene spesso attribuita una visione della realtà altrettanto distorta. I leader antifragili non hanno paura di difendere alcune idee contro ogni evidenza del loro possibile successo e senza alcun incoraggiamento. Queste idee stressano il sistema costituito, costringendolo a modificarne le parti più “rigide” e a diventare flessibile, quindi più capace di rispondere agli imprevisti che vengono dall’esterno.
5. Sperimentazione costante L’imprenditore Ben Casnocha e il co-fondatore di LinkedIn Reid Hoffman, hanno più volte sottolineato che l’approccio work in progress o beta permanente è fondamentale per continuare a mettere alla prova noi stessi, riconoscere e affrontare i nostri errori ed evolverci. Si tratta di un approccio che aiuta a confrontarsi quotidianamente con la realtà circostante: ci si allena a correre dei rischi e ad affrontare eventuali fallimenti. Inevitabili, questi ultimi, per raggiungere il successo finale.
Prosperare nel disordine: Leadership Forum 2023
Gestire il rischio e trarre vantaggio dalla volatilità nell’era dei “cigni neri”: Nassim Nicholas Taleb, filosofo, matematico e già operatore di borsa, esperto sui temi della probabilità e dell’antifragilità in campo economico, nonché autore del volume Incerto, che raccoglie i bestseller Il Cigno Nero, Giocati dal caso: il ruolo della fortuna nella finanza e nella vita, Antifragile e Skin in The Game, tradotti in più di 36 lingue, torna sul palco del Leadership Forum nel 2023.
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