Storytelling: l’arte di saper raccontare
Oggi se ne parla molto. Da un lato di Federico Buffa che sta realizzando dei bellissimi programmi sportivi.
Dall’altro di storytelling: l’arte di saper raccontare qualcosa. E non se ne parla soltanto in ambiti letterari o giornalistici, ma anche all’interno di organizzazioni ed aziende.
Come mai questa luce della ribalta su qualcosa che esiste dalla notte dei tempi?
In fondo di storie se ne sono sempre raccontate.
Come mai questa attenzione da parte del mondo del business per un’arte così antica?
La risposta a questa domanda implica, a sua volta, il venire a capo di un’altra domanda, e cioè:
può una storia far vendere un prodotto?
Lasciamo per un attimo in sospeso la questione e prendiamo qualche esempio di storytelling, ovviamente dalla lunga e iperbolica carriera di Federico Buffa.
A diciassette anni Ronaldo, che prende soltanto il nome della madre e quindi di Nazário da Lima e di secondo fa Luís, era la macchina più perfetta mai vista su un campo di calcio. Una struttura muscolare incredibile, la capacità di accelerare fino ai venti, ventidue all’ora senza problemi. Totalmente ambidestro, con una capacità indimenticabile di curare il particolare alla massima velocità. Non è guidare una Lamborghini Murcielago, è essere una Lamborghini Murcielago.
Una cosa ben diversa dal dire: “Già da giovane Ronaldo mostrava quelle caratteristiche che poi lo avrebbero fatto diventare un grande campione”.
Un po’ come la differenza tra dire: “il nostro è un ottimo prodotto che sicuramente soddisferà le sue aspettative professionali” e dire: “è semplicemente il meglio sul mercato, non troverà un altro concorrente che sia capace di garantire le prestazioni del nostro prodotto, le cambierà la vita”.
Quale comprereste dei due? Certo si può obiettare che Ronaldo è già molto famoso e non ha bisogno di ulteriori “infiocchettature”, che si vende comunque molto bene da solo.
Mettiamo che sia vero. Passiamo quindi ad uno sport meno celebrato nel nostro Paese: il Basket.
Vediamo se lo storytelling di Federico Buffa può essere utile a “vendervi” la voglia di pop-corn e di prima fila al Madison Square Garden:
- Le gioie della vita: Michelle Pfeiffer, il cioccolato… e Kobe Bryant in campo aperto.
Ti fa arrivare dove vuole lui, passa dal cinema alla gastronomia e poi sbam! Product placement. - Fish dà l’ultimo colpo di pennello ai suoi girasoli. (NBA Finals 2010, Gara #5, canestro e fallo subito da Derek Fisher)
Metafore e citazioni alte sono all’ordine del giorno, non c’è neanche bisogno di spiegarle, perché l’arte non si spiega. Less is more. - … canestro che probabilmente è possibile ad un solo altro bipede sulla faccia della terra e s’è ritirato! (Riguardo ad una schiacciata rovesciata su raddoppio di Kobe Bryant, dalla partita Los Angeles Lakers-Cleveland Cavaliers, gennaio 2006)
Chi è l’altro bipede? Un buon storytelling fa crescere innanzitutto la curiosità, che sia per uno sportivo o per un prodotto aziendale. - Tra le cose più imprevedibili della vita ci sono i liberi di Shaq… alterna tocchi dolcissimi a palle da bowling buttate in zona-ferro…” (Su Shaquille O’Neal)
L’ironia è un’arma potentissima: come poche altre cose riesce a far imprimere un concetto in mente. - Testardo, impaziente, egoista, totalmente indispensabile ed essenziale per questa squadra. (Su Rajon Rondo, Boston Celtics vs Philadelphia 76ers, NBA Playoffs 2012 – Gara #3)
Tutto e il contrario di tutto in 2 parole. Una pubblicità efficace deve anche fare questo. - O Signore, il morso del Mamba. (Su una schiacciata di Kobe Bryant, LA Lakers vs Utah Jazz, gara #6, 2008)
Questo è o non è Branding? Non serve aggiungere altro.
- Dicembre 2015. Diario dell’uomo che volle farsi re. (Su una schiacciata di LeBron James, da NBA Action, 2005)
L’alternanza di vari registri, dal letterale all’epico, dal pop al gergo di strada, ha un unico obiettivo: far rimanere impresso a vivo fuoco nella nostra mente quel che è stato appena detto. - D’altra parte, come diceva Hopper, se avessi avuto le parole non avrei dipinto. (Su Kobe Bryant, LA Lakers vs Boston Celtics, Nba Finals 2010)
Si può sempre dire qualcosa. Anche quando pensi che nel tuo settore sia stato detto tutto. - Come Zidane, gli tiri pietre e ti manda indietro petali di rosa… (su Kevin Durant)
La narrazione deve essere innanzitutto agile. Passare da uno sport all’altro significa anche saper passare da un prodotto all’altro.
Per cui, per concludere, vi è venuta voglia di saperne di più sulla pallacanestro dopo quanto avete letto?
Cosa rispondereste: può una storia far vendere un prodotto?
PS: visto che abbiamo parlato di agilità concludiamo con questo. È o non è da pelle d’oca?
Lì un giorno è nato un bambino il cui nome era Zayyid Aldyid Al-Yazid, “la bellezza della religione”. Il bambino aveva proprio le caratteristiche del berbero: era lungo, con la pelle bianca e gli occhi di ghiaccio. Aveva una coordinazione locomotoria straordinaria: con quella palla faceva quello che voleva, ci girava intorno, la pettinava, gli tiravano pietre e lui rimandava rose. Ecco, quel bambino poi è diventato l’uomo che in una bellissima serata del luglio del 1998 ha condotto la Francia al suo primo titolo mondiale. Ma il berbero dagli occhi di ghiaccio all’epoca ormai lo conosceva tutto il mondo col suo nome francese: Zinedine Zidane, detto “Zizou”.
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